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fermentazioni spontanee pizza

I lieviti sono i protagonisti del processo di panificazione: microrganismi unicellulari in natura, sono infatti responsabili non soltanto della struttura e del volume di tutti gli impasti a base di farina, per esempio del pane, ma al tempo stesso del suo sapore.

Sarebbe infatti impossibile “far gonfiare” un impasto e renderlo soffice senza utilizzare il lievito. Ma andiamo a vedere come possiamo classificare i lieviti che utilizziamo in cucina:

Lieviti naturali : lievito di birra, lievito madre o pasta acida, kefir di latte.

Lieviti chimici: acido tartarico, cremor tartato, bicarbonato di sodio o di ammonio, e altri ancora.

Lievitazione spontanea? No, grazie

In questo articolo però ci interessa un altro tipo di lievito, il lievito spontaneo, chiamato a ragione anche “lievito selvaggio”, ovvero ottenuto attraverso la contaminazione naturale (spontanea, appunto) di una miscela per lo più di acqua e farina con i batteri e i lieviti presenti normalmente nell’aria, definiti anche autoctoni. Sì, avete letto bene: i batteri che troviamo in qualsiasi ambiente.

La definizione di “lievito selvaggio” infatti calza a pennello, perché parte da una coltura preparata in ambienti non adeguati e soprattutto gestiti da personale senza alcuna formazione in materia microbiologica. In parole povere: un conto è far sviluppare una coltura batterica a un biotecnologo, un conto è farlo fare ad un pizzaiolo che bravo per quanto possa essere con gli impasti non avrà mai le competenze di un chimico.

Proprio la natura spontanea di questi impasti infatti rende molto pericoloso tutto il processo di panificazione, perché incontrollato, lasciato al caso, perché a rischio per la salute: senza un adeguato controllo dell’ambiente di lavoro, non è difficile che si possano sviluppare agenti patogeni che la temperatura di cottura non riuscirebbe ad uccidere.

Insomma, sicurezza igienica e lievito spontaneo sono due cose che non vanno d’accordo, a meno che non decidessimo di fare allestire un panificio o una pizzeria in un laboratorio biomedico della Bayern (si fa per dire ovviamente). L’utilizzo di questi impasti di fatto non è soltanto vivamente sconsigliato, ma molto rischioso per la salute.

La bolla del business del “senza lievito”

Oggi in Italia il lievito spontaneo è un business nuovo e moderatamente prolifico: non soltanto riesce a ingannare centinaia di consumatori con i suoi prodotti, ma si sta espandendo con corsi e scuole, come se fosse qualcosa di innovativo. L’unica cosa innovativa, purtroppo, sono il rischio di patologie per i consumatori.

I pericoli per la salute, infatti, sono molto grandi e in un certo senso imprevedibili, perché imprevedibili sono gli agenti patogeni che si possono formare con questo metodo: è impossibile infatti sapere con assoluta esattezza quali batteri possano svilupparsi.

L’aumento di patologie e allergie che si sta dilagando negli ultimi anni è il motore di questo nuovo business: il marketing senza scrupoli cerca di sfruttare proprio queste paure e questi disturbi per il proprio tornaconto, ricorrendo a notizie false e prodotti inutili (in questo caso addirittura pericolosi) ai danni non soltanto dei consumatori, ma di tutta una filiera agroalimentare.

Credo che i prodotti senza lievito sono una moda passeggera, destinata a sparire come è apparsa, che forse lascerà qualche cicatrice sia sulle persone che in buona fede o per ignoranza l’hanno seguita e sulle spalle delle aziende che da anni lavorano correttamente per sfornare (il termine non è casuale) prodotti di qualità certificata e garantita.

I prodotti senza lievito non esistono

Proprio così: è impossibile, in un laboratorio artigianale di Arte Bianca, dal panificio alla pizzeria, produrre prodotti senza lievito, perché ogni locale di produzione è per forza di cose “contaminato” dai batteri per esempio della pasta madre o di quelli lattici.

Il “senza lievito” non soltanto non esiste, ma non è ammesso dalla legge, pena sanzioni amministrative con l’aggravante della pubblicità ingannevole e sanzioni penali se qualche cliente rimane intossicato.

In questo mercato nuovo e truffaldino si sono buttati a capofitto anche quegli attori del marketing alimentare he hanno deciso di cavalcare l’onda al motto di “senza lievito aggiunto”: altra pubblicità ingannevole, vietata e soggetta per legge alle stesse sanzioni citate poco prima. Senza contare la pericolosità di questo tipo di prodotti non soltanto in ambito di metodi di lavorazione, ma per le persone che realmente presentano allergie o patologie legate ai lieviti. 

La salute dei consumatori

Abbiamo già detto che la gestione incontrollata del metodo di lievitazione spontanea può portare gravi conseguenze con lo sviluppo di contaminazioni e tossine, patologie gravi fino in casi estremi alla morte del consumatore.

Pensare di fare innovazione lasciando al caso le variabili del processo di lavorazione, è veramente assurdo: occorrono nozioni molto tecniche, scientifiche, specifiche, per assumersi la responsabilità di un processo di lievitazione spontaneo, nonché il perfetto controllo dell’ambiente di lavoro. Lasciate perdere chi s’improvvisa chimico ma che non è nient’altro che un bravo pizzaiolo che ha fatto prove ed esperimenti da solo o presso un molino ma che chimico non è, altrimenti non servirebbe studiare 5 anni di Università per diventare chimico se bastasse qualche esperimento rudimentale in un laboratorio di un molino. Qualcuno senza averne le competenze dovute s'improvvisa tecnico lanciando le fermentazioni spontanee senza sapere che gioca sul filo del rasoio e se qualcosa va storto, mette a rischio la salute delle persone. Il pizzaiolo deve spingersi fino ad un certo punto nelle sperimentazioni quando si entra in campo della chimica di cui per forza non ne ha le dovute competenze, se vuole andare oltre in un campo che non gli appartiene dovrebbe fermarsi e casomai rivolgersi a chi ha una vera formazione scientifica dimostrata e certificata non da chi s’improvvisa “tecnico” senza una laurea.

Se davvero, per fare un esempio assurdo, volessimo utilizzare un processo di lievitazione spontanea nella panificazione, per stare davvero al sicuro dovremmo avere un laboratorio sterilizzato e batteriologicamente controllato, (cosa che non è un laboratorio di una pizzeria o di un panificio), asettico (già una sala operatoria non andrebbe molto bene), conoscenze di biotecnologia e biologia approfondite a livello di post dottorato universitario, infine molto coraggio e un po’ di incoscienza: tutto questo per fare un panino o una pizza.

Un conto infatti è operare in un’azienda con camere asettiche, macchinari all’avanguardia per le verifiche microbiologiche e personale altamente qualificato, tutto altro conto è cercare di fare la stessa cosa nel laboratorio sul retro di una pizzeria o di un panificio, andando tra l’altro contro a ogni norma di igiene alimentare HACCP, senza avere la benché minima cognizione di cosa stia succedendo al nostro lievito, senza alcun controllo. Questo per quanto riguarda la produzione.

La tutela dei consumatori

Dopo aver visto la pericolosità del processo di produzione, andiamo ad analizzare la tutela del consumatore di fronte alla pubblicità ingannevole del “senza lievito”.

Questa denominazione, che nella maggior parte dei casi (ingannevoli) indicata soltanto che non è stato aggiunto lievito di birra agli ingredienti, è nata in realtà per venire incontro alle necessità salutari di alcuni consumatori affetti da patologie come allergie o intolleranze al lievito, quindi al consumo di alimenti che non contengano neppure in minima parte questo ingrediente. Alimenti che, lo ricordiamo devono essere prodotti in laboratori ad hoc, controllati e certificati.

Il lievito infatti è presente naturalmente in qualsiasi ambiente, a partire dai locali, dal personale, dai macchinari, fino agli impasti. Se avessimo un locale batteriologicamente asettico, basterebbe aprire la porta pochi secondi per contaminarlo.

Davanti, o meglio dentro, a un impasto di farina e acqua a temperatura ambiente, si creano naturalmente le condizioni per lo sviluppo vitale di qualunque forma di microrganismo, quindi alla nascita, cresciuta e sviluppo del blastomicete, ovvero il fungo unicellulare che dà vita alla fermentazione: il lievito.

Proprio perché il lievito è ovunque, di certo in qualunque locale finalizzato alla produzione di impasti a base di farina, è stata introdotta la denominazione “senza lievito”, ma non è sicuramente ammissibile che venga travisata da panettieri che si improvvisano tecnici di laboratorio. Un panificio, una pizzeria o una pasticceria non possono produrre un impasto senza lievito, anche volendo. Non possono per legge, ma neppure nel mondo reale.

Questa forma di pubblicità risulta quindi ingannevole sia da un punto di vista legale, che da quello scientifico. Non soltanto rappresenta un illecito commerciale, ma è molto pericolosa per la salute dei consumatori.

In conclusione, cari amici pizzaioli e panificatori, non essendo dei chimici e non lavorando nei laboratori dell’industria farmaceutica, continuate a lavorare come avete sempre fatto, senza seguire mode ingannevoli, con le quali potreste rischiare anche d’intossicare i vostri clienti e di prendere sanzioni penali. Informatevi bene prima di sperimentare nuovi metodi di lavoro che qualcuno ogni tanto cerca di lanciare impropriamente, diffidate da finti “tecnici”, chimici improvvisati e “stregoni della pizza”. Seguite la strada della retta via della sicurezza alimentare, della tutela del vostro lavoro e dei vostri affezionati clienti.

Arturo Mazzeo
Presidente Pizzaitalianacademy 

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