Siamo stati a trovare uno dei proprietari del molino Profili di Viterbo, che in seguito ad alcune nostre domande ci ha detto questo...
Si sa, l’Italia importa grano dall’estero, sia grano duro che grano tenero. Molti mulini dichiarano di produrre e proporre sul mercato farine prodotte tramite l’utilizzo di grano al 100% italiano, offrendo un catalogo ricco, con una grande varietà di farine. Questo però potrebbe stupire, dato che la produzione di grano tenero in Italia non è di particolare spessore. Come può esistere quindi questa grande varietà di farine di grano 100% italiano sul mercato?
L’Italia è il primo trasformatore, sia di grano tenero che grano duro. Grano tenero per quanto riguarda la produzione di panificazioni, prodotti di pizzeria e pasticceria, mentre il grano duro per la pasta. L’Italia è il primo produttore ed esportare di pasta. Strutturalmente l’Italia si trova quindi costretta a importare circa il 50% del fabbisogno dall’estero, data la carenza nel nostro territorio. Il problema è che mediamente, almeno per il grano tenero, le caratteristiche del grano italiano sono particolari. Il valore W, compatibilmente con l’annata agraria, non è mai troppo elevato, arrivando in massima a 250, 260 in valore, non comprendendo diversi comprensori di nicchia che possono arrivare a valori intorno al W 300 ma che sono al 4% della produzione italiana di grano tenero per questo non si possono mettere in catalogo queste farine.
Non sempre è possibile. Dipende dall’annata agraria e dalle varietà che si vanno ad utilizzare. Questi fattori vanno ad influenzare i diversi valori e tendenzialmente, utilizzando dei buoni grani italiani, i valori restano in media sempre sotto W 250 e sono stabili più o meno intorno ai W 200. Risulta difficile ottenere farine molto forti solo con grani italiani, questo lo dice la natura stessa dei grani che abbiamo in Italia.
In questo caso, per produrre una farina ‘italiana’ e con un indice W che si aggiri intorno o sia superiore al 300, è necessario che una parte componente sia di provenienza estera?
Non è possibile stabilirlo con certezza. Spesso, in alcuni comprensori, vengono stipulati vari accordi di coltivazione di grani esteri, grazie ai quali vengono assicurate diverse partite di grani particolari, tali da permettere la preparazione di un grano forte. In centro Italia questo risulta però molto complesso.
È possibile piantare un grano estero, non autoctono in Italia e da quello derivarne una farina ad alto indice W, dichiarandola prodotta con grano 100% italiano. È legale, la legge lo consente, però alla base si tratta in realtà di grano estero. È un escamotage possibile, ma è corretto farlo? Dei mulini dichiarano di poter ottenere farine 100% italiane, con un indice W anche superiore al 300. La natura stessa della farina permetterebbe una cosa del genere? Com’è possibile?
Bisognerebbe chiedere ai diretti interessati. Coltivare grani con sementi esteri è possibile, ma si tratta di un campo in cui io personalmente non mi avventuro, non disponendo di notizie certe. Penso però che potrebbe essere più che possibile.
Parliamo ora del biologico, una nuova moda. Esiste una grande varietà di farine, tra le quali vedo proposte sul mercato opzioni con indice W superiore ai 230. Questi valori non risultano possibili in natura. Il biologico dovrebbe rendere addirittura meno. Che ne pensa da mugnaio?
È risaputo che una semente, quando coltivata in biologico, perde sicuramente almeno 20, 30, se non addirittura 40 punti d’indice W rispetto alla stessa corrispondente coltivata in maniera tradizionale. Parlando in particolare delle nostre coltivazioni qui in Lazio e generalmente in centro Italia, abbiamo ricevuto una certificazione anche per la coltivazione biologica, nella quale abbiamo una linea completa. Siamo riusciti a selezionare, anche grazie a diverse prove in campo e prove di partite a 360° a scovare dei grani biologici di buon livello, che nel migliore dei casi arrivano massimo a indici di 230 e 240. A tali piccole produzioni andare oltre a questo valore risulterebbe difficile. Probabilmente da qualche parte esistono anche grani biologici più forti, ma noi non ne abbiamo notizia, almeno qui in centro Italia.
Voi macinate sia a rulli che a pietra, giusto? Che differenza c’è tra questi due tipi di macina? Quali sono i diversi prodotti che si vanno ad ottenere? Inoltre, si sente spesso dire che macinare a pietra sia meglio che macinare a rulli, sono voci fondate?
Si, dopo aver rispolverato alcune macine a pietra, che risalivano alla fine dell’ottocento, abbiamo ripreso questo tipo di macinazione. Si tratta di macine in pietra naturale, francese, scolpita a mano (o rappigliata a mano, in termini tecnici). Su input del mercato abbiamo quindi messo a listino delle farine macinate a pietra. Si tratta ovviamente di farine integrali e semi-integrali e non di farine bianche. La macinazione a pietra ha una storia molto antica, quasi preistorica, risalente agli albori della macinazione.
Già, inoltre spesso si crede erroneamente che la macinazione a rulli si tratti di una tecnica di macinazione moderna, quando invece esiste da almeno 150 anni, essendo quindi tutt’altro che moderna.
Esatto. La macinazione a pietra esiste invece dai tempi degli egizi e dei romani.
La differenza sostanziale è che il mulino a pietra macina in unica soluzione, tramite due macini pesanti di pietra che tritano tutto, ottenendo un prodotto che poi andrebbe classificato, con l’obiettivo di ottenere una maggiore uniformità. Si potrebbe quindi dire che Il prodotto della macina a pietra è molto grossolano. Questo tipo di macinazione influenza la granulometria della farina e la mandorla viene lavorata in maniera approssimativa. Di conseguenza, la farina che ne risulta non è adatta a lavorazioni raffinate ed industriali (di alta panificazione), ossia il più delle lavorazioni a cui siamo abituati in questa età moderna. È anche vero però che questo tipo di macinazione mantiene delle parti del chicco che in determinati tipi di farina, quelle totalmente bianche (ossia zero e doppio zero) ottenute in via industriale vengono eliminate. Tra queste il germe del chicco, presente nelle farine ad indice 1 e 2, presente anche in macinati ottenute via mulini a cilindro, ma eliminato nelle farine 0 e 00. Chi ha come obiettivo una farina ricca di fibre, grossolana, con incluso germe e parte cruscale, troverà ciò che cerca in una farina macinata a pietra. È importante specificare che il mulino a cilindri non fa ‘scarti’ di per sè, ma classifica maggiormente la farina. La 1 e la 2 macinata a cilindri hanno più o meno le stesse caratteristiche della stessa farina macinata a pietra. Non tutto ciò che viene macinato a pietra ha caratteristiche positive o migliori rispetto al macinato risultato da altri metodi, perché il problema della macina a pietra è che va alimentata con un cura, con determinati standard di pulizia, richiedendo quindi molta attenzione. La gestione di questa macina è difficile, e porta ad una qualità che ad esempio, l’artigiano che ha comprato il macinino tedesco su internet non riuscirà mai a garantire. Quindi, diciamo che la superiorità di un macinato rispetto all’altro è un mito parzialmente da sfatare. Il mulino a pietra deve essere condotto come si deve, coerentemente a tutte le garanzie di igienicità e caratterizzato dall’assenza di contaminanti del grano. Il risultato dipende sempre da chi macina, dal know-how e dalla serietà del mugnaio.
Insomma, non è dimostrato che una farina macinata a pietra sia in qualsiasi modo qualitativamente migliore di una macinata a rullo.
Assolutamente no, anzi, una farina macinata a pietra nel modo sbagliato può essere decisamente di qualità inferiore. È importante che i grani macinati siano stati puliti accuratamente, poiché contaminanti quali peli di roditori, escrementi di piccioni, topi eccetera potrebbero essere presente nei grani negli stoccaggi ed andare in macinazione.
Passiamo ora a dei miti da sfatare, ecco il primo: Si è sentito dire, addirittura da soggetti ritenuti grandi conoscitori di farine, che una giustificazione all’utilizzo della macina a pietra è che “i rulli scaldano’’. Immagino che questi soggetti siano di parte, in modo da difendere la loro scelta nell’usare macina a pietra, ma volevo chiedere il parere di un mugnaio al riguardo.
In realtà si potrebbe addirittura ritenere il contrario. Il mulino a cilindri, implicando dei passaggi di macinazione numerosi e graduali, scalda meno il prodotto, il semilavorato ed il lavorato che ne risulta. La macinazione a pietra invece, se mal condotta, tende a scaldare, andando a danneggiare l’amido e le proteine del grano. È anche per questo la macinazione a pietra va sempre gestita da un mugnaio molto capace.
Insomma, addirittura il contrario.
Ultima domanda, sfatiamo un altro falso mito: C’è chi pensa che le farine di grano tenero bianche a 00 siano sbiancate chimicamente. Ovviamente è totalmente falso, ma spieghiamo il perché?
Si tratta di una leggenda metropolitana. La farina è naturalmente bianca, basta aprire un chicco di grano spezzandolo a metà, per notare che all’interno la mandorla farinosa è candida. È per questo che quindi, una volta levate le parti cruscali del chicco, la farina risulta bianca. È un bianco avorio del tutto naturale, e nel processo di macinazione, che sia a cilindri o a pietra, non vengono usati assolutamente agenti particolari. Si tratta soltanto di un processo meccanico, composto da varie fasi ed al quale si ricorre in vari ambiti. Sfido chiunque a trovare nei mulini agenti sbiancanti di qualsiasi tipo, quelli vengono utilizzati quando si parla di sapone o di carta igienica, di sicuro non quando si parla di farina.
C’è chi afferma inoltre, basandosi su voci infondate, che la farine bianche siano cancerogene e velenose, che insomma causino tumori. Sono dichiarazioni molto gravi da parte di chi le afferma, ed assolutamente non scientificamente dimostrate. Anche quei dottori che lo hanno affermato sono stati poi contraddetti dalle tesi di un oncologo. Che ne pensa invece un mugnaio di queste dicerie?
Anche questa è una legenda che si è sviluppata su internet, durante questi anni di caccia alle streghe ed allarmismi vari. L’evoluzione umana inizia con la coltivazione del grano e con l’invenzione della macinazione e della levitazione panaria. L’umanità ha mangiato pane per millenni, si è sviluppata cibandosi dei prodotti del grano e quindi non capisco come si possibile affermare falsità del genere.
Queste stesse persone spesso ritengono che sia cibarsi soltanto di farine poco raffinate e setacciate, farine solo integrali o farine di tipo 2 o 1, che ne pensa?
Mi sono informato attraverso diversi studi, pubblicati sulle stampe di settore, ed è sì vero che il picco glicemico è più basso in farine integrali o meno raffinate, ma è anche da considerare il fatto che il consumo di pane in Italia è ai minimi storici. A questi tempi siamo ridotti a circa 45g al giorno procapite di pane, contro il kg/kg e mezzo al giorno del quale si cibava ai tempi dell’unità d’Italia. Inoltre, non sono sicuramente quelle due di fette di pane integrale al giorno che permettono di sopperire al fabbisogno di fibre della giornata. È comunque necessario mangiare verdure e frutta, dove la fibra è presente in misura superiore. Ovviamente, mangiando due fette di pane bianco di sicuro non ci si ammala. Poi esistono sì, farine di tutti i tipi, integrali a 1, a 2, macinate a cilindri ed a pietra, e presso i nostri panificatori e pizzaioli, i migliori del mondo, è possibile trovare prodotti di ogni tipo. Sta al consumatore indirizzarsi a prodotti coerenti coi propri gusti e con i propri criteri riguardanti la cura della propria salute.
Grazie a voi.
Intervista condotta da Arturo Mazzeo, Presidente Pizzaitalianacademy, all'Avv. Maurizio Manca Direttore Molino Profili
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